La paura come tratto distintivo della società italiana

Gli italiani hanno paura: non più legata esclusivamente al timore di rimanere vittima di reato, la paura è diventata uno dei tratti fondamentali del nostro tempo, alimentata dall’insorgere di un insieme di insicurezze di diversa natura.

Negli anni della crisi hanno prevalso timori di carattere economico, legati alla paura di perdere il posto di lavoro e di scendere gradini nella scala sociale, poi è subentrata l’insicurezza quotidiana rispetto alla microcriminalità incombente, poi è arrivata la paura per il terrorismo internazionale e ora sembra avere il sopravvento l’allarme legato agli sbarchi dei migranti.

Si moltiplicano le paure e rimane elevato il timore di essere vittima di un reato. Oltre 19 milioni di italiani (il 31,9% del totale delle famiglie) percepiscono il rischio di criminalità nella zona in cui vivono. Le punte più alte si hanno nel Centro del Paese, ove i nuclei familiari che temono di subire un reato nella propria zona sono il 35,9% del totale, e nel Nord-Ovest, ove si sente in pericolo il 33% delle famiglie. Inoltre, il pericolo cresce mano a mano che aumentano le dimensioni del comune di residenza ed è maggiormente avvertito nelle aree centrali della grandi realtà urbane, ove oltre la metà dei residenti percepisce il rischio di subire un reato (tab. 1).

La criminalità continua ad essere ritenuta un problema grave, segnalato dal 21,5% degli italiani, al quarto posto dopo la mancanza di lavoro, indicata dal 52,4% della popolazione, l’evasione fiscale (29,2%) e l’eccessivo prelievo fiscale (24%) (tab. 2). 

A preoccuparsi di più per la criminalità sono gli italiani che appartengono a nuclei familiari che hanno un livello economico basso, i quali, presumibilmente, vivono in contesti più disagiati e hanno minori possibilità di attingere a personali risorse per l’autotutela: tra chi ha maggiori problemi economici la criminalità è segnalata come secondo problema (il 27,1% del totale) dopo la mancanza di lavoro.

Gli italiani sono preoccupati per la presenza della criminalità, dunque, eppure i dati fotografano una situazione in cui i reati sono in diminuzione costante nel tempo: nel 2008 i reati denunciati in Italia erano complessivamente 2.709.888, sono aumentati fino ai 2.892.155 del 2013, per poi diminuire di anno in anno fino a raggiungere il minimo di 2.232.552 reati denunciati nel 2017, con una riduzione del 17,6% rispetto al 2008 e del 10,2% nel solo ultimo anno (fig. 1).

Si tratta di una riduzione consistente, che interessa tutti i crimini che destano maggiore allarme sociale: dagli omicidi alle rapine, ai furti.

In particolare, gli omicidi si riducono dai 611 del 2008 ai 343 dell’ultimo anno; le rapine da 45.857 a 28.612; e i furti, che sono i più numerosi e quelli che destano un maggiore allarme sociale per la molecolarità della diffusione e delle modalità di azione, sono 1.198.892, diminuiti di quasi 400.000 casi negli ultimi 3 anni (fig. 3).

Anche il confronto con il resto d’Europa non ci penalizza. Infatti, sebbene i dati relativi ai reati denunciati non siano perfettamente confrontabili, in quanto ogni Paese ha propri sistemi normativi e sanzionatori e diverse classificazioni, i reati denunciati nei Paesi europei più simili al nostro, per quanto indicativi, confermano una nostra situazione di tranquillità relativa (tab. 3).

Gli omicidi volontari consumati in Italia nel 2015 (ultimo anno per cui è possibile fare confronti) sono stati 469, con una incidenza di 0,8 ogni 100.000 residenti, inferiore a quella dei paesi Ue, che è dello 0,9 per 100.000 residenti, e in linea (o minore) rispetto ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e sistema sociale.

Inferiori alla media europea sono anche i reati più violenti e che destano maggiore allarme sociale. Le lesioni dolose sono state 64.042, con una incidenza di 105,6 ogni 100.000 abitanti, a fronte di una media che in Europa è di 195,4 sulla stessa quota di popolazione e che sale a 365,9 per 100.000 in Francia e addirittura a 663,4 nel Regno Unito.

Le rapine sono state 35.068, ovvero 57,8 ogni 100.000 residenti, inferiori alla media europea di 71,8 per 100.000 e decisamente di meno anche rispetto a Regno Unito, Francia e Spagna. Bassissimo anche il numero di violenze sessuali denunciate, che in Italia sono state 4.000, in Spagna 8.640, in Francia quasi 20.000, mentre in Germania sono state denunciate oltre 27.000 violenze sessuali e nel Regno Unito più di 36.000.

Gli unici reati che, invece, vedono l’Italia in una posizione più arretrata rispetto alla media Ue (ma non rispetto a Regno Unito e Francia, e sulle stesse posizioni della Germania) sono i furti, che in Italia sono 1.723,2 per 100.000 residenti, contro una media dell’Unione europea che è di 1.391,3 sulla stessa quota di popolazione.

Certo, la situazione non è la stessa in tutte le aree del Paese: i dati sulle denunce riflettono una forte concentrazione della criminalità nei centri urbani più abitati, dove si hanno flussi consistenti di individui: oltre ai residenti, pendolari, turisti, migranti, studenti.

Nel 2016 in 10 province italiane, dove vive il 32,4% dell’intera popolazione, sono stati denunciati 1.057.467 reati, vale a dire il 42,5% del totale (tab. 4).

Guida il ranking delle province italiane Milano, con 237.365 reati, pari al 9,5% del totale, seguita da Roma con 228.856 crimini denunciati (9,2%). Più distanti sono Torino (136.384 reati, pari al 5,5% ) e Napoli (136.043, sempre il 5,5%): in queste quattro aree metropolitane, dove vive il 21,4% della popolazione italiana, si denuncia il 30% dei reati commessi ogni anno in Italia.

Se si analizzano gli stessi dati in rapporto alla popolazione, Milano rimane in vetta alla classifica, con 7,4 reati denunciati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini, con 7,2: è evidente in entrambi i casi come il dato rapportato alla popolazione sia solo indicativo, in quanto si tratta di realtà che attraggono giornalmente, per motivi diversi, flussi di popolazione non residente. Seguono: al terzo posto Bologna, con 6,6 reati ogni 100 abitanti, poi Torino e Prato con 6,0 per 100. Firenze, Genova e Roma occupano le posizioni successive, con 5,6 reati ogni 100 residenti a Firenze e 5,3 nelle altre due aree metropolitane.  

Da segnalare che, a fronte di una media Italia di 4,1 reati denunciati ogni 100 abitanti, 28 province-aree metropolitane si collocano al di sopra della media e le rimanenti 78 sono al di sotto, in una situazione in cui diminuisce il rischio di subire un crimine.

Un’indiretta conferma della maggiore concentrazione di reati in alcuni territori viene anche dai dati sugli omicidi che, in quanto reati particolarmente efferati e manifesti, non risentono della quota di non denuncia che possono registrare altri reati: nel 2016 in ben 18 provincie italiane non si è registrato neppure un omicidio.

Il calo della criminalità non si è però tradotto in una percezione di maggiore sicurezza personale e la paura sembra essere diventata la chiave interpretativa di molti dei comportamenti degli italiani, che sono disposti a modificare stili di vita e abitudini consolidate pur di essere più sicuri.

L’insicurezza si traduce dunque, sempre più spesso, nella perdita di importanti fette di libertà personali e in un ampliamento della solitudine: non si ha fiducia negli altri, si esce poco la sera, non si frequentano determinati luoghi, si riducono i viaggi e le occasioni di stare insieme.

Una indagine effettuata dal Censis all’indomani degli attentati terroristici di Parigi del novembre 2015 mostrava come ben il 65,4% degli italiani fosse convinto che la paura avesse significativamente modificato i comportamenti comuni, influenzando soprattutto gli stili di vita dei più deboli.

Ancora oggi 41 milioni di italiani, pari al 78,7% dei cittadini che hanno più di 14 anni, dichiarano che bisogna stare attenti agli altri, e la quota non si riduce sensibilmente con l’abbassarsi dell’età: tra i minori il 73,1% ritiene che si debba essere molto guardinghi di fronte agli sconosciuti (fig. 4).