2. La sfida (vinta) della pandemia

L’emergenza sanitaria e le conseguenti limitazioni alla mobilità hanno rappresentato un formidabile stress test per la radio, che ha dovuto dimostrare di essere capace di catturare vecchio e nuovo pubblico in ascolto o in visione da tutti device disponibili.

I dati sugli ascolti al primo semestre 2021, pur facendo registrare un calo rispetto al periodo pre-pandemia ‒ che è più significativo nel giorno medio (- 4,6% di ascoltatori tra il primo semestre 2019 e il primo semestre 2021) e meno consistente nella settimana media (-2,0% tra i due periodi considerati), confermano che la radio è un mezzo di massa seguito giornalmente da oltre 33 milioni di italiani con più di 14 anni, pari al 62,7% del totale della popolazione (tab. 3). Non solo: i primi dati relativi alla scorsa estete testimoniano di una forte crescita dei radioascoltatori che in un giorno medio superano i 34 milioni, avvicinandosi ai livelli pre-pandemia.

I dati relativi all’ascolto per singoli device in un giorno medio mostrano quello che è accaduto: nel primo semestre 2021 rispetto al primo semestre 2019 si riducono del 12,3% gli ascolti da autoradio (che rimangono comunque quelli più consistenti, con oltre 22 milioni di ascoltatori in un giorno medio) e del 4,9% quelli da apparecchio radio, e crescono significativamente tutti gli altri device, che sono entrati prepotentemente a far parte della digital life degli italiani. I radiospettatori da schermo televisivo sono quasi 4,2 milioni, e sono aumentati del 4,7% negli ultimi due anni; quelli che seguono i programmi radiofonici da smartphone o cellulare sono quasi 3,4 milioni, e sono aumentati del 18,6%; crescita del 7,3% anche per gli ascoltatori della radio via pc o tablet; infine, 1.232.000 italiani ascoltano la radio in tv solo audio, e sono cresciuti del 4,2% negli ultimi due anni.

Non era scontato, anche perché all’interno delle abitazioni non mancano i competitors: televisione ed internet prima di tutto.

La tenuta della radio, resiliente anche allo scoppio della pandemia, poggia, da un lato, sulla sua capacità di essere moderna nelle modalità e nelle possibilità di fruizione, dall’altro, sulla qualità e credibilità dei contenuti.

Il riconoscimento della credibilità dei contenuti veicolati dalla radio si conferma anche nell’ultimo anno e mezzo di emergenza sanitaria, durante il quale la domanda di informazione è esplosa come non era mai successo prima. 

A partire da febbraio dello scorso anno oltre 50 milioni di italiani hanno cercato informazioni sul virus, il contagio, i vaccini, i bonus, le regole da rispettare da tutte le fonti disponibili, e l’intero sistema dell’informazione ha risposto alle sollecitazioni moltiplicando la propria offerta.

Purtroppo però non tutto ha funzionato, e la tanta comunicazione non sempre è servita a fare informazione e a chiarire le idee degli italiani sulle cose da fare: sin dalle prime fasi dell’emergenza è emersa, invece, una carenza di flussi informativi utili e, soprattutto, univoci e certi su virus, contagi, tamponi, vaccini così come su tutta la filiera di cose da fare e, più ancora, sui soggetti a cui rivolgersi per avere delle risposte.

Certo, si trattava di un evento di portata globale mai vissuto prima e di cui si sapeva pochissimo; di un virus che uccideva gli anziani e contagiava i bambini; mancavano gli studi clinici, le cure e i vaccini, ma i problemi di comunicazione sono rimasti nel tempo, alimentando false convinzioni, ingiustificati allarmismi, comportamenti sbagliati.

Il risultato è tanta comunicazione confusa che ha prodotto ansia anziché tranquillizzare gli animi: da una recente indagine del Censis emerge che solo il 13,9% degli italiani considera equilibrata l’informazione ricevuta, a fronte del 49,7% che la definisce confusa, il 39,5% ansiogena e il 34,7% eccessiva.

Opinioni senz’altro condivisibili e che invitano tutti i media a riflettere su quello che è successo e su cosa non ha funzionato, ma che non sembrano riguardare più di tanto l’informazione veicolata dalle piattaforme radiofoniche. Infatti, i programmi e i contenuti radiofonici sono usciti bene dalla pandemia, con l’82,6% degli italiani che dichiara che nell’ultimo anno la loro fiducia nella radio è rimasta invariata, mentre per il 6,1% è aumentata e per l’11,3% diminuita (tab. 4).

L’anno della pandemia fa registrare un calo di fiducia soprattutto nei confronti dei social network (per il 26,2% degli italiani è diminuita) e di siti web, blog, forum on line (per il 23% la fiducia nell’ultimo anno è diminuita) ove chiunque può esprimere liberamente la propria opinione, senza censure ma anche senza alcun controllo della affidabilità e dell’attendibilità delle notizie.