L’ascesa della silver demography

Partire dai numeri di riferimento della popolazione over 65 in Italia è la premessa di ogni ragionamento teso a enucleare gli aspetti peculiari della popolazione anziana. E i numeri della demografia sono implacabili perché in dieci anni nel nostro Paese si hanno:

- +1,8 milioni di persone con almeno 65 anni – cifra che è pari alla somma degli abitanti di Napoli e Torino – e +1 milione e oltre di persone con 80 anni e più, pari alla somma degli abitanti di Palermo e Firenze;

- -1,5 milioni di giovani fino a 34 anni, cifra che è pari alla somma degli abitanti di Milano e Trento. E -23,7% è il dato sulle nascite, certificandone la caduta in picchiata.

Le previsioni per il 2051 annunciano che dagli attuali 13,7 milioni di anziani, pari al 22,8% del totale della popolazione, si passerà a 19,6 milioni, per una incidenza sul totale della popolazione che sarà pari al 33,2% e un incremento percentuale del +42,4%, mentre la popolazione marcherà -4,1% (fig. 1).

Ecco i numeri della silver demography che contraddistingue il nostro Paese: una vera e propria dittatura demografica che impone di passare dalla tradizionale sottovalutazione della demografia ad una sua nuova centralità nella definizione di fabbisogni attuali e futuri della società.

Il miglioramento nel tempo di condizioni igieniche, alimentazione, sanità, attenzione alla tutela della salute ha reso la sfida della vecchiaia sempre meno dura e affrontabile per le persone: si vive più a lungo perché si vive meglio, con una speranza di vita in Italia tra le più alte nella UE. Infatti, nel nostro Paese (fig. 2):

- la speranza di vita media di una persona è 82,7 anni, a fronte di un dato medio UE di 80,9 anni: 1,8 anni in più;

- per le donne la speranza di vita è 84,9 anni, mentre il dato medio Ue è 83,5 anni: +0,9 anni;

- per gli uomini la speranza di vita è 80,6 anni, a fronte di una media Ue di 78,3 anni: +2,3 anni.

Dal punto di vista territoriale il fenomeno dell’invecchiamento varia per intensità, ma di certo riguarda tutto il nostro Paese. Infatti:

- la Liguria è la regione più longeva d’Italia con il 28,5% degli anziani: seguono Friuli Venezia Giulia (26,2%) e Umbria (25,6%);

- i tre comuni italiani più longevi sono Zerba (64,4%) in Emilia Romagna, Fascia (61,%) in Liguria, San Giovanni Lipioni (58,3%) in Abruzzo;

- considerando i soli comuni con più di diecimila abitanti i tre più longevi sono Lerici (34,6%) in Liguria, Copparo (32,9%) in Emilia Romagna, Muggia (32%) in Friuli Venezia Giulia.  

L’ascesa dei longevi li rende oggi interpreti di una soggettività forte che significa una personalizzazione dei percorsi di vita dove ciascuno disegna la propria esistenza riempiendola di molteplici attività, ruoli, progetti che generano buona soddisfazione soggettiva.

Di fronte alla eterogeneità delle vite degli anziani, l’unico criterio classificatorio socialmente sensato e condiviso su quando si diventa anziani è quello fondato sul grado di  autosufficienza delle persone.

Per gli italiani si diventa anziani non quando si va in pensione o si raggiunge una determinata età anagrafica, ma se e quando si diventa dipendenti da altre persone nelle ordinarie attività quotidiane, incluse le più intime.

Pertanto, tra gli attuali 13,7 milioni di persone con almeno 65 anni che sono da considerarsi anziani per le classificazioni internazionali, oltre 2,8 milioni sono quelli non autosufficienti: essi rappresentano il 20,7% degli over 65, l’81% del totale dei non autosufficienti in Italia (tab. 1).

Longevi attivi e non autosufficienti sono dunque le due macrocategorie in cui, con una semplificazione, è possibile distinguere gli anziani attuali.