Comunicati Stampa

Le «Considerazioni generali» del 53° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2019

Piastre di ancoraggio e muretti di sostegno per frenare i fenomeni erosivi

Sono tanti i segnali di contrapposizione degli italiani a una prospettiva di declino. Mentre i limiti della politica sono nella rassegnazione a non decidere

Roma, 6 dicembre 2019 – Si chiude un decennio che, negli spazi vuoti d’iniziativa e di responsabilità collettive, lascia aperta la possibilità di rinnovamento e di nuovo sviluppo.
È stato un tempo segnato dal rincorrersi di avvisi su una imminente frattura sociale, sul perdurare della crisi dell’occupazione e dei redditi, sulla perdita di tenuta delle istituzioni nazionali e locali, sulla fragilità del territorio e delle sue infrastrutture. Ma abbiamo visto in questi mesi l’accentuarsi di reazioni positive, di contrapposizione a una prospettiva di declino.

La società italiana ha guardato a lungo inerte al cedimento delle sue strutture portanti. A questo cedimento, puntellando se stes­so, ora il Paese sta cercando una soluzione. L’anno che si va chiudendo segna, infatti, l’inizio di un diverso mo­do di osservare l’orizzonte e rafforza l’impressio­ne che l’adeguamento verso il basso non può proseguire senza limiti, senza porre argini o individuare punti di sostegno per frenare lo sgretolamento, per provare ad ancorarsi e tentare un cambio di direzione.

Il franare è stato in parte interrotto grazie alla ricostru­zione di alcune piastre di sostegno cui ancorare non una nuova fase di crescita, ma almeno un cambio di rotta. Una prima piastra di sostegno è nella dimensione manifatturiera del nostro sistema produttivo e nella sua capacità di innovare e, almeno in parte, trainare la crescita. Le nubi nere all’orizzonte dell’economia mondiale e le ipotesi di una nuova guerra dei dazi e delle valute alimentano tanti interro­gativi sulla capacità di resistenza delle industrie italiane, ma non c’è dubbio che nell’arena internazionale il nostro Paese, con le sue fab­briche, esprime ancora un’idea forte di qualità e capacità compe­titiva. Una seconda piastra di ancoraggio è nel consolidamento strutturale in alcune aree geografiche vaste del nostro Paese: dal nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna alla fascia dorsale lungo l’Adriatico. Con un tasso di crescita del prodotto interno e dei consumi paragonabile alle migliori regioni europee, la riaffermazione della base geografica dello svilup­po, anche quando è a scapito di altre parti del Paese, segnala che l’appartenenza territoriale ridona vigore alla crescita. La terza piastra è la nuova sensibilità per i problemi del clima, della qualità ambientale e della tutela del territorio, anche in risposta a stimoli non solo interni. Restano certo irrisolti i nostri problemi di fragilità strutturale dell’ambiente naturale e costruito, ma è fuor di dubbio che la speranza di provare a metterci mano muove a una spontanea e diffusa partecipazione. È una quarta ipotesi di piastra di ancoraggio, per quanto più incerta, la rimessa in circuito del risparmio privato. La liquidità disponibile delle famiglie ha permesso una sostanziale tenuta sociale, a fronte di risorse pubbliche sempre meno adeguate e meno efficienti. Un’ultima piastra di sostegno la si vede nella dimensione europea: sempre meno si addossano ai processi di convergenza europea le responsabilità delle difficoltà nazionali e locali, e sempre più si alimenta il dibattito sulla capacità delle istituzioni comunita­rie di rinnovare contenuti e mezzi dello sviluppo.

Si rileva una multiforme messa in opera di infrastrutture di contenimento dei fenomeni erosivi, dunque, generata dalla difesa solitaria dei singoli, grazie a processi temporanei e tempestivi di appoggio: tanti muretti in pietra a secco. Ne sono esempi la fitta rete di incubatori e acce­leratori di imprese innovative nei quali diverse migliaia di giovani tentano una esperienza imprenditoriale, dove una buona intuizio­ne può diventare una buona impresa. O i tanti festival, sa­gre, eventi culturali di ogni genere e scopo, senza che vi sia in pratica città o borgo che non ne progetti o organizzi uno. Sono eventi che valgono come affermazione di identità e di comunità locale, una oc­casione economica per l’attrazione turistica, un luogo di elaborazione di prospettive e di confronto intellettuale. Sono esempi di muretti a secco, ancora, alcuni segmenti produttivi capaci di resistere alla crisi e rilanciarsi affermando un primato mondia­le per design, tecniche costruttive, sapienza artigianale applicata su scala industriale, in nicchie dell’export mondiale nella produzione di super yacht, di vernici e materiali innovativi per l’edilizia, di componentistica minuta ma ad alta tecnologia per le automobili o l’aerospazio, per citarne solo alcuni.

Arrivare a immaginare che nella reazione alla regressione la dimensione strutturale – le piastre – o quella di provvisorio sostegno – i muretti – possono diventare le basi di un ritorno a una dimensione sociale e collettiva è un errore di prospettiva. Il decennio ha lasciato indietro, senza risolverlo, l’interrogativo su come si possano dare tempi, luo­ghi e strumenti di bilanciamento tra risposte ai bisogni di base e nuova alimentazione delle ambizioni individuali. Ora osserviamo i primi segnali di un tentativo di rinegoziazione dei meccanismi e degli interessi individuali e collettivi. Vedremo se la fase negoziale che si va aprendo comporterà anche una logica di nuova confederalità della rappresentanza o se, al contrario, è passato il tempo dei corpi intermedi.

I limiti della politica attuale sono nella rassegnazione a non decidere. Tante, troppe riforme strutturali sono state annunciate, ma mai concretamente avviate: nella scuola, nella giustizia, nella sanità, nella fiscalità, nel quadro istituzionale. Lo scenario nel quale ci muoviamo è affollato da non decisioni: sul contenimento della pressione migratoria, sulla digitalizzazione, sulla politica tributaria, sulle concessioni e sui lavori per le grandi infrastrutture di rete, sui servizi idrici o per i rifiuti, sulla collocazione delle scorie nucleari. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito se stessa.

La consape­volezza che la sfiducia sembra prevalere non basta a offuscare lo sguardo e il bisogno di reagire e guardare avanti. I segnali di contrapposizione a un racconto al ribasso sono ancora deboli. Ma nella reazione al vortice della crisi e nell’avvio di nuovi e diversi processi di consolidamento dello sviluppo il popolo si sta aprendo alla speranza e, se così sarà, la storia gli lascerà strada.

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6 Dicembre 2019