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Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2022

Roma, 2 dicembre 2022 – Fine della moderazione salariale? L’impennata dei prezzi dell’energia, propagatasi velocemente anche agli altri tipi di beni (alimentari, spese per la casa, trasporti, ecc.), sta comportando una perdita netta del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) è aumentato nel primo semestre del 2022 del 6,7% rispetto al primo semestre del 2021. Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali del lavoro dipendente a tempo pieno sono aumentate solo dello 0,7%. Ma l’inflazione non solo colpisce i redditi fissi o comunque tendenzialmente stabili nel medio periodo, aumenta anche la forbice della disuguaglianza tra le diverse componenti sociali: le famiglie meno abbienti si confrontano con un incremento medio dei prezzi pari al 9,8%, mentre per le famiglie più agiate l’aumento è del 6,1%, quasi 4 punti percentuali in meno. Questo divario discende dalla diversa dinamica dei prezzi dei beni (alimentari e per la casa su tutti) che pesano in particolare sul carrello della spesa delle famiglie meno abbienti. Nell’ultimo periodo, tra il 2012 e il 2021, l’andamento dei prezzi riflette le conseguenze di una fase tendenzialmente deflattiva per l’Italia (in media 0,7% annuo), caratterizzata soprattutto da una moderazione salariale che ha di fatto rimosso qualsiasi rischio di innesco della spirale prezzi-salari. Ma gli attuali livelli di inflazione – con punte di rialzo dei prezzi dei beni alimentari intorno all’11%, senza contare gli incrementi del 50% dei beni energetici – potrebbero incidere profondamente sul potere d’acquisto delle famiglie.

La contrattazione collettiva rincorre l’inflazione. Il 51% dei lavoratori dipendenti in Italia è attualmente in attesa del rinnovo contrattuale. Nel settore privato la quota scende al 36,5%, mentre nella Pubblica Amministrazione il mancato rinnovo riguarda la totalità dei dipendenti (100%). I mesi di vacanza contrattuale vanno dai 35 del settore pubblico ai 31 del settore privato. In ogni caso l’attesa di vedere rinnovato il contratto collettivo nazionale sfiora i 3 anni. In sintesi, sono 6,3 milioni i dipendenti con contratto scaduto e non ancora rinnovato, di cui 3,5 milioni nel settore privato e 2,8 nel settore pubblico. Oggi in Italia nel settore privato si contano oltre 4 milioni di lavoratori che non raggiungono una retribuzione annua di 12.000 euro. Di questi, 412.000 hanno un contratto a tempo indeterminato e un orario di lavoro a tempo pieno. Il lavoro dipendente non è più al riparo del pericolo della povertà. Nel 2021, sul totale degli occupati, il 9,7% si trovava in condizioni di povertà relativa.

La partita controversa fra investimenti esteri e delocalizzazioni. Alla fine del 2021 la consistenza degli investimenti esteri in Italia ha raggiunto i 549 miliardi di euro: un valore pari al 30,8% del Pil. Nello stesso anno il flusso degli investimenti diretti esteri in entrata è tornato positivo (+8,5 miliardi di euro), dopo una riduzione delle consistenze registrata nel 2020 (-24 miliardi). La nostra piattaforma produttiva orientata all’export conta oggi su 53.000 imprese, pari al 23,2% del totale delle imprese con almeno 10 addetti. Le multinazionali estere presenti in Italia sono 15.779 e rappresentano una quota del 6,9% delle oltre 227.000 imprese con almeno 10 addetti. L’inserimento dell’Italia nei processi di integrazione economica globale si sviluppa anche attraverso il controllo di affiliate estere da parte di imprese italiane. Queste ultime (circa 25.000) realizzano in altri Paesi un fatturato complessivo di 567 miliardi di euro (di cui poco meno di 50 miliardi in Italia) e occupano 1.800.000 addetti. Le multinazionali estere in Italia contano su un volume di fatturato pari a 624,2 miliardi di euro e impiegano oltre 1,5 milioni di addetti. La dimensione media risulta tendenzialmente superiore a quella delle multinazionali italiane (95,8 addetti contro 71,4), mentre il fatturato per addetto è pari a 413.000 euro, contro i 320.000 euro delle multinazionali italiane.

Non è più come una volta: crisi e criticità della libera professione in Italia. Nel 2021 il mercato del lavoro italiano conta 22,5 milioni di occupati, per la maggior parte dipendenti (17,6 milioni). Il numero dei lavoratori indipendenti scende da 5,2 milioni nel 2019 a 4,9 milioni nel 2021: -6,4%. La contrazione maggiore si rileva soprattutto per i lavoratori in proprio, che registrano una flessione del 9,8% mentre tra il 2019 e il 2021 gli imprenditori vedono la loro quota aumentare del 6,6%. I liberi professionisti (1,4 milioni nel 2021) sono diminuiti dal 2019 dell’1,8%. Secondo un’indagine del Censis, un terzo degli avvocati ha considerato l’ipotesi di abbandonare la professione (32,8%), soprattutto per i costi eccessivi che l’attività comporta cui non corrisponde una ricompensa economica adeguata (63,7%) e per il calo della clientela nel corso degli anni (13,8%). Gli andamenti dei redditi medi nella professione di avvocato evidenziano disparità di genere e di età. Da una parte, occorre sommare il reddito di due donne avvocato per avvicinarsi al livello medio percepito da un uomo (23.576 euro contro quasi 51.000), dall’altra il reddito di un avvocato con meno di trent’anni non è neanche un terzo di quello percepito dagli ultracinquantenni (circa 13.000 euro contro 45.943 euro per la fascia di età 50-54 anni).

Colf, badanti e baby-sitter in soccorso delle famiglie italiane. Nel 2021 i lavoratori domestici contribuenti sono stati 961.358. Si evidenzia una prevalenza della componente femminile (816.476, quasi l’85% del totale), una maggioranza di lavoratori domestici di origine straniera (672.609, il 70%) e poco più della metà dei lavoratori domestici sono colf (509.987, il 53%). La figura della badante è predominante tra coloro che provengono dall’Europa dell’Est (46,3%). Secondo una stima del Censis, i lavoratori domestici sono nel complesso circa 2 milioni. La domanda di colf e baby-sitter è sostanzialmente ad ore (rispettivamente per l’89,9% e l’86,1% dei datori di lavoro), mentre la domanda di badante necessita la convivenza (67,1%). Nel caso in cui fosse necessario il sostegno a un proprio familiare non autonomo, più della metà del campione (58,5%) eviterebbe in tutti i modi di fare ricorso a una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa), preferendo assumere una badante. Mediamente, la spesa sostenuta dalle famiglie per una badante oscilla intorno a 1.200 euro mensili, circa 750 euro per colf e baby-sitter.

2 Dicembre 2022