Il punto di vista dei lavoratori

Dall’indagine su aspettative e punti di vista dei lavoratori sono emersi, in sintesi, i seguenti risultati.

- I buchi neri informativi. È ridotta la quota di lavoratori che hanno una conoscenza precisa di finalità e contenuti del welfare aziendale: tra i lavoratori, il 17,9% ha una conoscenza precisa del welfare aziendale, il 58,5% solo per grandi linee, il 23,6% non sa cosa sia (tab. 1). Minore conoscenza si registra tra i lavoratori con più bassa scolarità (il 47% di quelli con al più la licenza media non sa cosa sia), con bassi redditi (44,6%), con mansioni esecutive e manuali (36,7%), tra le lavoratrici (30,1%) e anche tra i genitori single (40,3%) (tab. 2).

- Meglio le prestazioni di welfare degli aumenti retributivi. Di fronte alla possibilità di trasformare quote premiali della retribuzione in prestazioni di welfare, tra i lavoratori il 58,7% si dichiara favorevole, il 23,5% contrario e il 17,8% non ha una opinione in merito (tab. 3). Più favorevoli sono i dirigenti e i quadri (73,6%), i lavoratori con figli fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%) e quelli con redditi familiari medio-alti (62,2%) (tab. 4).

- Dal welfare la spinta al buon clima aziendale. Riguardo alle ragioni della positiva valutazione della trasformazione di aumenti retributivi in prestazioni di welfare da parte dell’azienda, il 47,7% dei lavoratori è favorevole perché migliora la loro condizione e migliora il clima in azienda, e il 16,8% perché fa aumentare la produttività del lavoro (tab. 5). L’effetto positivo sul clima aziendale è la ragione prevalente richiamata dai lavoratori favorevoli. D’altro canto, spicca il fatto che i contrari sono di più tra i lavoratori a redditi bassi (46,9%) e, inoltre, la quota di coloro che ritengono più importante avere soldi aggiuntivi in busta paga piuttosto che soluzioni di welfare è particolarmente elevata tra gli operai e i lavoratori manuali (il 41,3%) e anche tra gli impiegati (il 36,5%).

- I servizi più richiesti. Tra le prestazioni più attese dai lavoratori prevalgono quelle afferenti all’area della salute e della sanità (53,8% dei lavoratori), seguite da quelle relative alla previdenza integrativa (33,3%), poi buoni pasto e mensa aziendale (31,5%), trasporto da casa al lavoro (ad esempio, abbonamento per i trasporti pubblici: 23,9%), convenzione per acquisti convenienti presso negozi e buoni acquisto (21,3%), asilo nido, campus, centri vacanze, rimborsi spese scolastiche per i figli (20,5%) (tab. 6). Le prestazioni di welfare propriamente intese, dalla sanità alla previdenza, vincono su quelle di integrazione del reddito, mentre la presenza di figli minori in famiglia fa apprezzare particolarmente le prestazioni relative a infanzia e genitorialità.

L’analisi delle caratteristiche sociodemografiche e professionali di favorevoli e contrari al welfare aziendale evidenzia un punto decisivo: i dirigenti e i quadri direttivi, i lavoratori con più alto reddito e i laureati sono i più favorevoli alle soluzioni di welfare aziendale; al contrario, i lavoratori a più basso reddito, con funzioni operaie, esecutive e manuali sono i meno favorevoli. Spicca poi il parere favorevole dei lavoratori con figli minori, in particolare con figli fino a tre anni.

Il discrimine tra i lavoratori dei livelli alti e dei livelli bassi della piramide reddituale è un vero e proprio macigno sul futuro del welfare aziendale italiano, che è prioritario affrontare.

È poi di grande valore il favore verso il welfare aziendale espresso dai lavoratori con figli, visibilmente alle prese con un colossale buco della rete di welfare pubblico, che sperano che il welfare aziendale li aiuterà a colmare. È forse l’esempio migliore del ruolo di integrazione che il welfare aziendale deve giocare rispetto alla copertura dei fabbisogni sociali dei cittadini, lasciati appunto scoperti da un welfare pubblico in ritirata e che non eroga servizi in linea con i fabbisogni dei cittadini.

In generale, emerge un quadro del settore del welfare aziendale più complesso di quello enfatizzato da molta comunicazione mediatica, in cui spicca il consenso ridotto di cui oggi beneficia il welfare aziendale tra operai, lavoratori esecutivi, lavoratori a più basso reddito, alle prese con un forte deficit retributivo. Dare vantaggi fiscali alla trasformazione di premi o aumenti retributivi in prestazioni di welfare è oggi utile per dare una spinta al settore, ma nel medio-lungo periodo deve fare i conti con la “fame” arretrata di reddito dei livelli bassi: la trasformazione di quote percentuali di reddito finisce per avvantaggiare i redditi alti, piuttosto che consentire l’erogazione di servizi e prestazioni a chi più ne ha bisogno.

D’altro canto, le preferenze dei lavoratori sulle prestazioni indicano che il valore reale del welfare aziendale è legato al ritrarsi del welfare pubblico e alla connessa crescita della spesa sociale privata in capo ai lavoratori: pertanto, la vera grande sfida per il welfare aziendale è di interpretare il ruolo di nuovo pilastro della protezione sociale capace di contribuire a invertire il restringimento delle tutele, restituendo così maggiore sicurezza a tutti i lavoratori e alle loro famiglie.