Comunicati Stampa

Il capitolo «Territorio e reti» del 45° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2011

Roma, 2 dicembre 2011 – La perdurante crisi dell’economia delle costruzioni. Nel 2011 l’economia delle costruzioni e dell’immobiliare ha visto peggiorare gran parte degli indicatori fondamentali. Per il 2011 si evidenzia una ulteriore contrazione degli investimenti complessivi in costruzioni (-4%), dopo un 2010 anch’esso in netto calo (-6,4%). Sono in crisi le nuove costruzioni residenziali (-5,9% in termini reali su base annua), per le quali si prevede un andamento negativo anche nel 2012, con un ulteriore calo del 5,3%. Gli investimenti in manutenzione straordinaria nel settore residenziale sono gli unici a registrare una crescita, anche se modesta (+0,5% nel 2011), per un aumento complessivo negli ultimi quattro anni dello 0,4%. Complessivamente, per gli investimenti in abitazioni (nuovo e recupero) si segnala una flessione cumulata, nell’arco del quinquennio 2008-2012, del 18,2% in termini reali. Il settore soffre per la crisi della finanza pubblica, che riduce il mercato delle infrastrutture, e per la stretta creditizia. Anche in relazione a prezzi che rimangono abbastanza stabili, neanche il settore immobiliare offre segnali di ripresa: in calo anche il secondo trimestre del 2011 (il quarto consecutivo con segno negativo). Considerando il solo settore residenziale, negli ultimi 12 mesi (luglio 2010-giugno 2011) il numero complessivo degli scambi si attesta sulle 595mila unità. Si tratta di un lieve decremento (-4%) rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, ma di una differenza considerevole (-21%) rispetto al periodo luglio 2007-giugno 2008, quando furono scambiate circa 755mila abitazioni.

Dalla retorica ai fatti: trasformare la città esistente. La quota di edifici con più di 40 anni, soglia temporale oltre la quale si rendono indispensabili interventi di manutenzione consistenti, sta crescendo progressivamente. Oggi il 55% delle famiglie occupa un alloggio realizzato prima del 1971 e poco meno del 40% risiede in un’abitazione costruita nel periodo della ricostruzione e del primo boom edilizio (1946-1971). È un patrimonio (circa 10 milioni di alloggi) che non rispetta le qualità tecnologiche oggi richieste a un immobile (fino alla metà degli anni ’70 in Italia non è stata varata nessuna norma sul risparmio energetico) e che, in ragione della sua avanzata obsolescenza, rischia di perdere parte del suo valore.

La crisi dello spazio pubblico come veicolo del malessere urbano. Il diffuso malessere dei cittadini delle principali metropoli trova ragione in due elementi principali: il senso di insicurezza e la difficile gestione della vita quotidiana. Dipende dalla frammentazione del tessuto relazionale, dal degrado territoriale, dallo scadimento dell’etica civica e dalla debolezza dell’azione pubblica di contrasto. Gran parte delle criticità sono riconducibili al modello di mobilità, oneroso in sé e in grado di produrre un impatto profondo sugli altri fattori urbani. Le condizioni delle strade comunali sembrano peggiorare ulteriormente: ne lamentava il problema il 43,2% dei cittadini nel 2001, il 50,9% nel 2009.

Il nuovo interesse per gli spazi collettivi. Nel panorama degli spazi collettivi, la piazza (o il giardino pubblico) rimane il luogo dove gli anziani si incontrano con maggiore frequenza (27,5%). Al secondo posto si colloca il bar (27,1%). Il mercato e il supermercato o la parrocchia vengono dopo, utilizzati soprattutto dalla componente femminile. Dopo anni di disattenzione, si osserva un ritorno di interesse per  lo spazio pubblico che trova le sue radici in un recupero di alcuni aspetti della tradizionale vita comunitaria. Ad esempio, si stima che in Italia si organizzino ogni anno circa 15mila sagre con circa 4,5 milioni di partecipanti.

Le infrastrutture tra ritardi, penuria di risorse e contrasti locali. Il ritardo infrastrutturale e la debolezza istituzionale nel farvi fronte sono elementi che non consentono all’economia nazionale una crescita della propria capacità competitiva. Gli investimenti fissi lordi delle amministrazioni pubbliche italiane sono scesi dal 2,5% del Pil nel 2009 al 2,1% nel 2010. In futuro diminuiranno ancora: l’1,5% nel 2012 e l’1,4% nel 2013, secondo il Def del 2011. Le infrastrutture «strategiche» della legge obiettivo sono 390, per un costo complessivo di 367 miliardi di euro. Dal 2004 a oggi sono passate da 228 a 390 e il loro costo complessivo è cresciuto del 57,4%. Le risorse a copertura dei progetti sono però pari a circa 150 miliardi di euro a fronte di un fabbisogno di 367,4 miliardi. Le opere portate a compimento rappresentano, in termini di valore, solo il 9,3% dell’intero programma. Le opere in corso sono il 9,9% e quelle contrattualizzate il 10,2%.

L’immobilità urbana: patologia incurabile o terreno di scelte coraggiose? L’arretratezza dei nostri sistemi urbani in tema di mobilità è l’aspetto più emblematico della sfida attuale che comporta la sostenibilità urbana. Le città italiane, quelle grandi ma in parte anche quelle medie, sono gravemente malate di traffico. Paghiamo lo scotto di investimenti mancati nella fase di crescita delle nostre città, che si sono sviluppate sulla base di una spinta alla proliferazione edilizia priva di un progetto a medio-lungo termine. La dotazione di reti di trasporto collettivo su ferro è sottodimensionata rispetto alla domanda, e i mezzi di cui disponiamo viaggiano in condizioni di frequente sovraffollamento, scoraggiando così l’ampliamento dell’utenza. Rispetto alle principali città europee, le nostre città si caratterizzano negativamente in termini di estensione e volume di utenza della rete metropolitana: Londra 402 km, Madrid 293 km, Parigi 1,5 miliardi di passeggeri l’anno, a fronte degli 83 km di Milano e i 39 di Roma, per 331 milioni di passeggeri l’anno a Roma e 328 milioni a Milano. E gli autobus nelle città italiane viaggiano a una velocità commerciale di 12-13 km/h,  ben più bassa della media europea (20 km/h).

La mobilità ciclabile: una fenomenologia in crescita trainata dalla domanda. Nel nostro Paese la bicicletta copre non più del 4% della domanda complessiva di mobilità. Nonostante ciò, nell’ultimo decennio si è registrato un aumento significativo delle persone che raggiungono almeno la loro destinazione abituale in sella a una bicicletta almeno 3 o 4 volte la settimana. Erano il 6,8% della popolazione nel 2002, hanno raggiunto il 13,5% nel 2007, oggi si attestano sul 18,7%. Si tratta di percentuali ancora molto basse se confrontate con quelle del Nord Europa, dove la media si aggira intorno al 30%. Circa 10,5 milioni di italiani dichiarano di usare occasionalmente la bicicletta e la quota sul totale della popolazione è passata in cinque anni dal 16,9% al 23,5%. La ridestinazione di parti della viabilità oggi dedicate esclusivamente al traffico motorizzato, la realizzazione di «dorsali ciclabili» di attraversamento e di ciclostazioni in prossimità delle aree ferroviarie centrali favorirebbero lo sviluppo ulteriore della mobilità ciclabile.

2 Dicembre 2011